Con I ricordi dell’avvenire, romanzo vincitore del premio Xavier Villaurrutia nel 1963, Elena Garro si impadronisce del tema rivoluzionario per introdurre in esso l’inquietante prospettiva dello sguardo femminile e annunciare con voce sibillina che il tempo ciclico messicano è senza avvenire. Il paese di Ixtepec, sul quale sono passate le generazioni, decise un giorno di ricordarsi e ci racconta la sua storia, facendoci fare un viaggio in continua oscillazione tra la memoria e l’oblio, la parola e il silenzio, l’ossimoro e la sinonimia. Oggi questo narratore sembra essere ancora lì, come testimone più attuale che mai del viaggio immobile del suo Messico. Una delle creazioni più perfette della letteratura ispanoamericana contemporanea (Octavio Paz). Il romanzo di Elena Garro giace come uno strano spartito che Gabriel García Márquez, anni dopo, eseguì magistralmente (Fernando Alegría). Un realismo che annulla il tempo e lo spazio, che passa dalla logica all’assurdità, dalla veglia alla trasognatezza e al sogno (Emmanuel Carballo).
Traduzione italiana di Rocío Luque; prologo di Patricia Rosas Lopátegui.
Elena Garro (1916-1998) nata a Puebla, in Messico, è stata drammaturga, giornalista e scrittrice di racconti e di romanzi. Tra le sue opere principali ricordiamo Un hogar sólido (1958), La semana de colores (1964) e Felipe Ángeles (1979). Oltre ad essere considerata dalla critica una delle scrittrici più importanti che il Messico abbia mai prodotto, si è distinta anche per il suo impegno politico e per la sua fervente difesa dei campesinos, a tal punto da creare intorno a sé un fatale clima di ostracismo, ma da guadagnarsi anche l’appellativo di un Emiliano Zapata al femminile.