«Come l'intero paese, ci consumavamo in una fiamma, appiccata dalla rapidità degli eventi. Sul volto e nei gesti di Anabela cominciavano ad affiorare gli impulsi interiori e la smania febbrile, quella sregolatezza impetuosa che aveva imparato a dominare. Vista in prospettiva, all'improvviso, tutta la figura di Rojano mi sembrava l'emanazione tragica e conseguente di questa volontà, inestinguibile e insieme paziente, paragonabile soltanto a quella che ribolliva nel corpo similmente impassibile di Pizarro».
Un giornalista tenace ed eccessivo, moralista e disssoluto, sensibile alle ebrezze del potere; un vecchio amico, politicante in affanno, determinato a risalire la china di una carriera pericolosamente compromessa; la moglie dell'amico, bella e imprendibile, sensuale e trasgressiva, fedele a costo dell'infedeltà: sullo sfondo di un Messico dalle mille turbolenze, i personaggi di questo romanzo violento e solare entrano tutti, pur con diversa consapevolezza, in un gioco di vita e di morte attorno a Lazaro Pizarro, l'ambivalente capo sindacale di una inquieta regione petrolifera del Golfo. Ma chi è davvero "Lacho" Pizarro? Un santo dei poveri o un boss mafioso? Il sacerdote fanatico dell'emancipazione dei diseredati o il capo senza scrupoli di una banda di assassini? Nelle pagine intense e magnetiche di "Morire a Veracruz" non solo scorre una avvincente storia di ambizione e vendetta, amore e gangsterismo, speranza e morte, ma si dipanano anche le tensioni e i problemi di un inedito Messico contemporaneo, incerto tra faide e modernità, pervaso da una vischiosità dei poteri che rievoca, con sorpresa e inquietudine, molte pagine di Leonardo Sciascia.