Requiem per un serial thriller. La banalità del male in una fila di morti in un bordello per mano delle tenutarie. Da un fatto di cronaca nera tra i più macabri del Messico, narrato mescolando finzione e scabre testimonianze.
All'origine di questo romanzo c'è un fatto di cronaca nera, fra i più scabrosi e crudeli della storia criminale messicana. E per parte sua, il romanzo, pur montando quei fatti con la finzione («Alcuni dei fatti qui narrati sono reali. Tutti i personaggi sono immaginari»: si legge nell'epigrafe), non abbandona lo stile spoglio della cronaca oggettiva e impersonale, del congetturare quando la testimonianza è indiretta o lacunosa, e addirittura del condizionale quando un'accusa non è provata. La storia è raccontata riportando le testimonianze diverse dei protagonisti, o le loro confessioni, in una forma a metà tra il rapporto storico e l'inchiesta, da cui non trapela né sentimento né giudizio. Arcángela, la sorella maggiore tenutaria del bordello dove si consuma la strage delle innocenti, non si capisce se sia un'aguzzina accecata dalla sete di ricchezza, o un'assassina resa tale dalla rozzezza culturale. La sorella Serafina, se sia una donna trascinata da un eccesso di passionalità o un essere del tutto egoista che scivola nell'inerzia del proprio soddisfacimento. Il bordello, teatro dei fatti, è l'istituzione totale che non può generare che mostri, o una comunità, perversa, ma che rinserra a suo modo una rete di legami umani? E il capitano Bedoya, l'amante di Serafina, è l'inevitabile frutto della sua educazione da macho, oppure lo ritroveremmo in una camera di tortura delle tante dittature sudamericane degli anni Settanta con la loro crudeltà bestiale e grottesca? E la miriade di altri personaggi, le prostitute, i clienti, gli inservienti, considerano davvero se stessi come un sottogenere, oppure è così che si esprime la deriva senza speranza di esseri umani allo sbaraglio, trascinati dagli impulsi primordiali, propri o altrui? Ma da questa impietosa freddezza, dalla costrizione a fermarsi prima di ogni giudizio, filtra il senso del racconto: vi circola l'infinita malinconia della marginalità e dell'oblio, tema dominante della miglior letteratura venuta dall'America latina. È la marginalità dalla storia e dal tempo, una condizione di perenne essere dimenticati da vivi, e di esserlo da sempre, nella memoria più recondita degli avi, che agita in questi personaggi di Ibargüengoitia una specie di lussuria dell'autodisfacimento.
Jorge Ibargüengoitia, nato a Guanajuato nel 1922 e morto nel 1983 in un incidente aereo, è stato autore di romanzi tra i più letti in Messico e tradotti in numerose lingue. Tra di essi: Ammazzate il leone (1969), I cospiratori (1981) e pubblicati da questa casa editrice Due delitti (1999), I lampi di agosto (2002) e Le morte (2004).