Serapio Bedoya ha quarant'anni e si sente una cartuccia sparata: ha abbandonato troppe donne, è troppo spesso senza soldi e una perenne inquietudine tormenta il suo lavoro di giornalista e la sua aspirazione di scrittore teatrale. Ma un giorno si sveglia con un prurito furibondo alla pianta dei piedi per un attacco di parassiti tropicali e poco dopo è trafitto dalla visione di Nausicaa, «la più bella che mai occhi umani abbiano ammirato», e dopo ancora un titolo a otto colonne su un quotidiano locale gli accelera inaspettatamente la circolazione sanguigna: «Gli zapatisti dichiarano guerra al governo e all'esercito». Sembra una notizia riesumata dall'inizio del Novecento e invece è proprio il giornale del 2 gennaio 1994, domenica. Questi eventi, solo apparentemente estranei tra di loro, danno l'avvio al romanzo e cambiano la vita del cronista: seguendo le tracce di una donna bella e volubile, Bedoya si ritroverà immerso nella realtà del Chiapas tra gli uomini del subcomandante Marcos, catturato dalla sfida di raccontare la lotta di quello strano esercito di indigeni discendenti dei maya, laceri e stanchi, che stanno rimettendo in moto la storia, ribellandosi all'oblio nel quale li hanno relegati cinquecento anni di conquista, ingiustizia e sopraffazione. Ironico, amaro, tenero, il libro di Jaime Avilés sull'avventura zapatista racconta la storia di un uomo all'inseguimento delle due cose che più contano nella vita: l'amore e la libertà.